Cuore – Angina pectoris
Cardio-circolatorio
Cuore: Angina pectoris, infarto coronarico
Degli 8 “interruttori cerebrali” che conducono la fisiologia cardiaca, 2 sono quelli che, dalla corteccia perinsulare, controllano il ritmo cardiaco (bradicardia e tachicardia) attraverso il nodo atrioventricolare.
Le stesse aree innervano anche vene e arterie coronariche, le quali possono manifestare sintomi che danno indicazioni importanti sull’andamento della curva bifasica.
Arterie e vene coronariche (insieme alla prima parte dell’arco aortico e il terzo inferiore delle due carotidi) hanno un’origine embrionale diversa dagli altri vasi sanguigni: infatti sono tappezzate all’interno da uno strato di epitelio pavimentoso (non endotelio) chiamato intima delle coronarie, che ha una sua programmazione biologica dedicata.
Arterie coronariche
In Fase Attiva l’intima delle arterie ulcera e il ritmo cardiaco rallenta.
In effetti un cuore che si mantiene a 50 battiti al minuto non è diventato bradicardico grazie a un allenamento di tipo sportivo, ma è un cuore che si trova necessariamente in Fase Attiva.
In PCL-A l’intima gonfia e ripara le ulcere con l’aiuto del colesterolo, che può creare placche di consolidamento. Il ritmo cardiaco torna alla normalità.
Alla fine di un processo lungamente recidivato, si produce la stenosi, che è una cicatrice (calcificazione) che crea un restringimento del vaso con perdita di flessibilità.
Generalmente all’interno degli altri vasi sanguigni non si ha alcuna sensibilità, e quindi non si percepiscono sintomi come il dolore.
Al contrario, l’intima delle coronarie può diventare ipersensibile, precisamente in Fase Attiva, cioè quando ulcera.
Tuttavia, anche quando vi è ipersensibilità, con il normale flusso sanguigno non si percepisce nulla; nella riparazione PCL c’è anestesia (totale insensibilità); e anche in fisiologia normale (normotonia) l’intima non è sensibile.
Allora in quali condizioni è possibile percepire dolore?
Le fitte pungenti dell’angina pectoris – quel dolore trafittivo verso il centro dello sterno – si sperimentano solo in presenza della stenosi: ad ogni battito del cuore si ha infatti uno stiramento dell’arteria, a causa della resistenza che il restringimento rigido fa al passaggio del flusso sanguigno.
Però, per sentire il dolore dello stiramento, l’intima deve essere contemporaneamente ipersensibile: deve essere quindi in Fase Attiva.
In sostanza, ciò significa che l’angina si manifesta per un fatto meccanico ma in presenza contemporanea di 2 condizioni:
1) la stenosi è già presente, ovvero un processo biologico completo e intenso è già stato fatto e finito in passato
2) l’intima è ritornata in Fase Attiva.
Cioè: se una persona ha angina pectoris da un anno, significa che prima di questo anno aveva già fatto e risolto una importante situazione conflittuale, e ora è rientrata in una nuova circostanza che esaspera la stessa percezione.
Mentre le vene coronariche, che trasportano il sangue a una bassa pressione di ritorno, anche in Fase Attiva non danno nessun sintomo, le arterie si sentono chiaramente, specie sotto sforzo, con fitte a ogni battito o quasi.
Nel caso venga inserito lo stent (con l’ausilio del “palloncino”) che permette di ridurre il restringimento, il sangue non fa più pressione sull’intima e il dolore non si ripresenta, malgrado l’intima sia in Fase Attiva.
E non si ripresenta anche nel caso inverso in cui la stenosi rimane così com’è, ma la persona risolve la situazione conflittuale riducendo la sensibilità dell’intima (anestesia in PCL).
Forte dolore si ha invece nella Crisi Epilettoide: in questi brevi istanti la sensibilità dell’intima delle arterie si esaspera ampiamente e al tempo stesso avviene uno spasmo, che produce un dolore acuto al centro del petto simile a quello delle coliche biliari.
Poiché l’area cerebrale è la stessa, la CE delle arterie coronariche esaspera anche il controllo della bradicardia (il rallentamento del battito), provocando per alcuni secondi l’arresto cardiaco.
Per questo motivo questo fenomeno è conosciuto anche come infarto coronarico.
Un altro sintomo che caratterizza l’infarto coronarico è una particolare sensazione, che sembra come un mal di stomaco, e che è conosciuta come “riflesso cardio-gastrico”.
Siccome l’interruttore cerebrale delle arterie coronariche e quello della piccola curvatura dello stomaco sono adiacenti, il relativo edema, molto esteso alla fine della PCL-A, può premere su entrambi: così, quando si ha un problema gastrico e poi un infarto, si ha anche un’ottima indicazione diagnostica per ritenere che si tratti di un infarto delle coronarie.
L’infarto del miocardio è d’altra parte molto diverso e produce tutt’altra sintomatologia (vedi capitolo precedente).
La percezione biologica che avvia la Fase Attiva delle arterie coronariche è, per un destrimane, “ho perso il mio territorio” o il contenuto del territorio (ad esempio il partner).
Le arterie sono innervate dall’emisfero destro della corteccia perinsulare, che conduce i programmi biologici con una percezione del territorio di tipo maschile.
Per la donna mancina, che risponde biologicamente solo in modo femminile, la percezione è quella invece di “il mio uomo non mi prende, o non lo fa come dico io”, un tenore percettivo affrontato nel capitolo Apparato genitale femminile, che si potrebbe tradurre in una “perdita di quel territorio” in cui la donna si sentiva posseduta e protetta.
Ma che cos’è “il mio territorio”?
In termini filogenetici si tratta del terreno su cui il capobranco può far crescere la sua stirpe, quello dove ci sono le sue “lupe”, quello che ha eletto a suo spazio per sussistere e che gli dà anche l’identità.
Oggi la quasi totalità delle persone è “secondo lupo”, sottomesso allo Stato, alla Chiesa, al capo a lavoro, alla moglie, al marito, al papà, alla mamma…
Allora ognuno si fa i propri territori secondari da difendere con i denti: la casa, il posto di lavoro, la propria auto, il motorino… e anche il partner.
Sì, anche il partner: se l’uomo vive la donna come “propria stabilità” perché “è tutto quello che ho”, allora può percepirne la perdita non come la naturale opportunità di trovare un’altra partner, ma come “perdita di territorio”.
In questo caso reagiscono le arterie coronariche.
Ricorda: non è l’evento che ha significato in sé, ma è la percezione viscerale e personale che glielo dà!
Allora considera che, uomo o donna che sia (mancina esclusa), ognuno può farsi il proprio territorio e viverlo in modo maschile; e indipendentemente dal fatto che il territorio sia oggettivamente grande o piccolo, ognuno gli dà il valore che percepisce.
La donna un po’ matrona che fa della cucina il suo regno; l’uomo che deve avere la macchina sempre lavata come si deve; la moglie che detiene il controllo del televisore; il marito che fa di uno sport la sua chiesa (e magari approfitta delle lente pulsazioni della Fase Attiva); la ragazza che guai a toccarle il computer…
Non avendo altre stabilità, anche le piccole cose messe in discussione pigiano quei tasti, con una sensazione da fine del mondo che, molto spesso, è quella che scatena litigi furibondi nelle famiglie.
Perché si tratta sempre della percezione del piccolo bambino che è travolto dal flusso di paura mentre fa il suo primo conflitto di territorio già nella sua cameretta; ma anche molto prima, quando elegge a territorio la sua mamma, ed è angosciato per il pericolo che gli venga portata via (per esempio da un nuovo fratellino).
Quando si parla di “territorio”, in leggi biologiche ci si riferisce a questo concetto.
Qui ora, rispetto alle arterie coronariche, stiamo indagando precisamente la “perdita di territorio”, “qualcosa di importante che ho definitivamente perso”; diversi sono il “pericolo di perdita, minaccia” che attiverebbe i bronchi, o “l’ingiustizia perché mi viene sottratto” che attiverebbe le vie biliari.
L’ulcerazione delle coronarie ha dunque la funzione di allargare il lume dei principali rami di irrorazione cardiaca, in preparazione della lotta per la riconquista di ciò che è stato perso e che è percepito di vitale importanza.
Esiste un riferimento temporale preciso rispetto a questo processo: se il capobranco riconquista (CL) il suo territorio più importante, ma lo fa dopo più di 9 mesi dalla perdita secca, la Crisi Epilettoide (cosiddetto infarto coronarico) si manifesterà dopo 21 giorni (il tempo della PCL-A completa) e sarà letale.
In effetti raramente in natura avvengono infarti coronarici, poiché un lupo alfa destituito a rango di secondo lupo è molto difficile che torni a fare il capobranco.
Questo indizio è importante in termini di urgenza: se una persona ha un’angina da un anno che va e viene, altalenante, significa che la curva è spezzata in numerose Fasi Attive di perdita e soluzioni di recupero, con piccoli arresti cardiaci passati inosservati (che avvengono prevalentemente di notte, e che facciamo più o meno tutti nella vita).
In questo caso la massa conflittuale è distribuita e non c’è urgenza.
Se invece l’angina è abbastanza costante, una soluzione secca (CL) di recupero del “proprio territorio” può essere pericolosa, ed è allora auspicabile che la CL venga dosata, diluita lentamente nel tempo.
Vene coronariche
Le vene coronariche sono innervate dall’emisfero sinistro, nell’area opposta a quella delle arterie, che coordina i programmi biologici riferiti al territorio vissuto in modo femminile.
Anche le vene in Fase Attiva ulcerano e sono ipersensibili.
Tuttavia, come hai appreso, non fanno angina pectoris.
Sempre in Fase Attiva, il centro di controllo della tachicardia aumenta il ritmo del battito (approfondisci nel capitolo Tachicardia).
In PCL-A le vene gonfiano e riparano, e il battito torna regolare.
La Crisi Epilettoide delle vene è il quarto e ultimo tipo di infarto possibile, detto infarto delle vene coronariche o embolia polmonare.
In CE il battito cardiaco va in tachicardia e fibrillazione ventricolare, e si sentono i dolori per lo spasmo della muscolatura dei vasi, contingente alla ipersensibilità dell’intima.
Dura alcuni secondi.
Subito dopo la CE, per la donna possono presentarsi brevi emorragie di sangue dal collo dell’utero (stessa conduzione cerebrale, vedi capitolo Apparato genitale femminile).
Malgrado si ritenga che il distacco delle placche di riparazione (aterosclerotiche) e la conseguente embolia polmonare siano la causa della crisi, il senso di affanno per mancanza di aria e i colpi di tosse che si possono sperimentare sono dovuti in realtà all’adiacenza delle aree cerebrali di vene e laringe, che durante la “scossa tellurica” della CE sono entrambe interessate dall’edema (per un approfondimento sugli edemi cerebrali vedi il capitolo Il sistema nervoso).
Infatti, se anche una o alcune arteriole fossero ostruite dai residui coagulati, questi non impedirebbero al resto dei polmoni di incamerare l’ossigeno necessario.
La percezione biologica che avvia la Fase Attiva delle vene coronariche è, per il destrimane, la percezione di tipo femminile “non sono preso/a, posseduto/a” nel mio territorio, ovvero la stessa che insiste sul collo dell’utero (approfondisci nel capitolo Apparato genitale-Amenorrea).
Per il maschio mancino la percezione è la medesima che insiste sulle arterie: “ho perso il mio territorio” nell’ambito della famiglia di origine.
Si deve considerare che sia l’arresto cardiaco (con incerta occlusione delle arterie coronariche) sia l’embolia polmonare (con incerta occlusione delle arterie polmonari), non sono la causa dei decessi che avvengono in queste circostanze: quando parliamo di infarto coronarico di vene o arterie, il pericolo si nasconde nella compressione cerebrale che l’edema può creare in PCL-A (in seguito a una grande massa conflittuale) e che in CE può mettere fuori uso, per un tempo troppo prolungato, aree di conduzione di organi vitali come il cuore.
Questo rischio, naturalmente è estremamente amplificato dalla presenza attiva del “profugo”.
L’estrema bradicardia provocata dalla CE delle arterie può anche portare il battito fino a 3-4 pulsazioni al minuto in una condizione di morte apparente.
Tratto da “Noi siamo il nostro corpo”
Creature di percezione concepite per imparare illimitatamente
di Mauro Sartorio